BANDO GIOVANI PER LA CULTURA: LE RAGIONI DELL'INDIGNAZIONE


All’insediamento di ogni nuovo governo tra coloro che lavorano nei beni culturali la frase che si sente più spesso pronunciare è “Speriamo che stavolta facciano qualcosa.”  

Lo stato di ristrettezze economiche del nostro settore culturale è noto da tempo e da anni gli operatori sperano in un cambiamento di tendenza.
Il governo Letta sembrava molto ben intenzionato, eppure il suo primo provvedimento di rilievo in questo campo,  il bando “500 Giovani per la Cultura”,  destinato a portare avanti l’inventariazione e la catalogazione del nostro patrimonio, definito uno dei provvedimenti di lotta alla disoccupazione giovanile e alla mancanza cronica di personale nel settore, invece di suscitare apprezzamento e sospiri di sollievo ha provocato una forte indignazione tra gli ipotetici destinatari.

Il primo motivo di lamentela è il trattamento economico: il bando prevede la retribuzione irrisoria di 416 euro mensili senza buoni pasto, rimborsi o ferie, il Ministero si è giustificato sostenendo che il bando si indirizza a “giovani neolaureati da formare”.
GIOVANI E LAVORO
Peccato, obiettano gli interessati,  che l’età massima sia 35 anni, non proprio un’età da neolaureati e che il personale che il ministero intende retribuire con meno di quattro euro all’ora deve aver terminato gli studi con una valutazione “minima” di  110/110 e possedere un livello di inglese B2.
Quanto alla formazione, c’è chi ricorda al ministero che ogni corso di laurea prevede già qualche centinaio di ore di tirocinio formativo da svolgere gratuitamente presso istituzioni spesso a corto di personale che non esitano, per la loro stessa sopravvivenza, a trasformare tali tirocini in vere e proprie esperienze lavorative.
L’altro aspetto del bando a destare indignazione presso gli storici dell’arte, gli archeologi e gli archivisti è l’ammissione alla domanda anche con curricula non esattamente pertinenti alla materia: le lauree in economia, scienze dei servizi giuridici, ingegneria dell’informazione, scienze della comunicazione , marketing, economia e gestione d’impresa e altre di questi ambiti discilplinari non sembrano adatte, a chi contesta le scelte del Ministero, a muoversi con la sufficiente professionalità nel complesso tessuto storico artistico del nostro paese, tessuto che ha sempre più bisogno, dicono alcuni, non di un nuovo catalogo, ma di seria e appropriata manutenzione.
Perché, si chiedono alcune delle persone che protestano, nessuno si farebbe operare da un veterinario ma nessuno si stupisce che un economista abbia a che fare con una stele etrusca?
Articolo inviato da Serena